Enrico Zanisi

Provengo da una famiglia di musicisti, mio padre flautista e mia madre pianista entrambi diplomati. Il pianoforte era in casa, un piccolo verticale che mia madre usava per impartire lezioni e io ero abituato ad ascoltare musica di qualsiasi genere anche se prevalentemente classica. Non ricordo il momento esatto, ma venne un giorno in cui decisi di conoscere meglio quel bel mobile in salone. Cominciai con il riprodurre brevi melodie, quelle classiche canzoncine che ti vengono insegnate alla materna e fin da subito mostrai di essere intuitivo e di sapermi divertire con lo strumento: era un vero spasso. I miei mi fecero cominciare il percorso classico con un ottimo insegnante che mi vedeva una volta a settimana; non era difficile imparare la tecnica, come non lo era leggere la musica degli autori classici, perciò passavo molto più tempo a suonare Remo Vinciguerra o a strimpellare qualsiasi cosa che mi passava per la testa. Praticai musica da camera fin dagli 8 anni, in duo con violino, flauto, in trio con violino e violoncello, in piccolo ensemble, orchestra, e ho ricordi meravigliosi di pomeriggi passati a provare e a giocare a pallone mentre i genitori preparavano le merende.

Il contatto con il pubblico fu quasi immediato: iniziai a partecipare ai concorsi e ad esibirmi con le formazioni con cui provavo a casa per abituarmi a imparare a memoria il repertorio e a non aver timore di suonare di fronte ad una platea, anche giudicante. Con mio padre abbiamo girato un po’ tutta l’Italia per i concorsi, e anche all’estero quando per esempio mi aggiudicai in trio con violino e violoncello il terzo premio al Concorso Internazionale Jugend musiziert.

Oltre alla musica classica non perdevo occasione per suonare “cose mie”, per scriverle e sentirle con un programmino facile che mio padre aveva installato sul computer. Sognavo di diventare una rockstar: tra la fine delle elementari e l’inizio delle medie avevo messo su un gruppo ed eseguivamo musiche dei Dream Theater, degli Emerson Lake and Palmer, dei Genesis, dei Led Zeppelin. Ero un fan dei Nomadi, era l’unica band italiana a piacermi e scrissi anche qualche canzone poi cestinata per la vergogna.

Credo che i miei genitori un giorno si siano fatti una domanda: ma se nostro figlio invece di studiare Bach suona sempre quello che gli pare, scrive, improvvisa, crea, perché non gli facciamo provare un’altra strada? Da musicisti e da insegnanti capirono subito la direzione che stavo prendendo. Mi tolsero dalla scuola di calcio e mi iscrissero ad una scuola di musica dove in un anno appresi a malapena la differenza tra una scala lidia e una misolidia. Decisi di provare ad andare fino in fondo alla faccenda, e spronato dai miei provai l’ammissione a Siena Jazz: i più meravigliosi quindici giorni della mia vita. Avevo 15 anni, ero da solo in una città meravigliosa ed ero a contatto con centinaia di studenti più grandi di me e con la creme dei jazzisti italiani: non avevo dubbi, avrei fatto il jazzista e stop con il power metal!

Gli anni che seguirono furono entusiasmanti. Studiai con Marco Di Gennaro, pianista e insegnante fantastico, mi insegnò praticamente tutto in nove mesi. Frequentai i corsi estivi della Saint Louis per tre volte e Umbria Jazz (dove ottenni una borsa di studio per frequentare il Berklee di Boston) studiando con Kenny Werner, Marvin Stamm, Joey Calderazzo, Phil Markowitz, Larry Grenadier e tanti altri giganti del jazz. Nel frattempo mi diplomai in pianoforte con il massimo dei voti e la lode all’Aquila sotto la guida di Walter Fischetti. Come da tradizione cominciai ad iscrivermi a concorsi jazzistici: secondo posto al Premio Roma Jam Session, primo premio al “Concorso di composizione ed esecuzione pianistica “Franco Russo”, borsista al Premio Massimo Urbani, Primo Premio e Premio del Pubblico al Concorso Nazionale per Nuovi Talenti del Jazz Italiano “Chicco Bettinardi”, Primo Premio al Vittoria Rotary Jazz Award nel 2010. Nel 2009 sono stato anche ammesso alla Manhattan School of Music di New York; nello stesso anno ho inciso il mio primo disco (Quasi Troppo Serio Nuccia/Egea) in trio con Ettore Fioravanti alla batteria e Pietro Ciancaglini al contrabbasso. Dopo aver completato le superiori mi sono laureato in Jazz con 110 e lode al Conservatorio “Licino Refice” di Frosinone.

In questi ultimi anni ho avviato una collaborazione con una delle più importanti etichette discografiche europee, Cam Jazz, per la quale ho inciso due dischi in trio con Alessandro Paternesi alla batteria e Joe Rehmer al contrabbasso (“Life Variations” nel 2012 e “Keywords” nel 2014), e un disco in duo con Mattia Cigalini (“Right Now” 2015). Nel 2012 una giuria di giornalisti mi ha assegnato il prestigioso premio Top Jazz come Miglior Nuovo Talento, indetto dalla storica rivista Musica Jazz, e nel 2014 ho ricevuto il Premio Siae per la creatività. In questi anni di jazz ho fatto moltissime esperienze, suonando in alcuni dei più importanti festival e jazz club italiani ed esibendomi spesso all’estero. Ho avuto inoltre il piacere e la fortuna di collaborare con musicisti strepitosi come Sheila Jordan, David Liebman, Andy Sheppard, Francesco Cafiso, Roberta Gambarini, Stefano Di Battista e molti altri, ognuno dei quali mi ha stimolato a studiare e a ricercare formule personali di espressione musicale, con la più sincera umiltà e grande passione possibili.