BARTOLOMEO CRISTOFORI

Mi presento: sono Bartolomeo Cristofori
inventore del pianoforte.

Lascia che mi presenti attraverso questi podcast, creati in collaborazione con Venice Classic Radio.

L’artigiano padovano, cembalaro innovatore inventore del pianoforte si racconta in questa autointervista immaginaria. Padova ancora una volta culla di geni straordinari, passati silenziosamente alla storia per le loro invenzioni. Ci voleva anche la celebrazione in internet, del  doodle di Google per rendere  un omaggio straordinario, a questo nostro concittadino.

Sentiamo cosa ci racconta Bartolomeo:

sono nato a Padova il 4 maggio del 1655, da Francesco e Laura, come risulta dall’atto di battesimo(6 maggio 1655) conservato nei registri della parrocchia di S. Luca Evangelista, in via XX settembre.Abitavo, mi ricordo vagamente vicino ai palazzi dei conti Papafava, che spesso vedevo tramite la signora Lina, che prestava servizio nelle loro case. Cominciai presto a lavorare nella bottega di un cembalaro. Il mestiere mi piaceva moltissimo e devo confessare che mi ero costruita una buona reputazione come giovane e bravo artigiano che realizzava strumenti molto apprezzati. Mi capitò un fatto che avrebbe cambiato la mia vita: nel 1688, passò per il nostro territorio, il principe Ferdinando de’Medici, grande mecenate, umanista e ottimo clavicembalista, figlio dell’allora granduca di Toscana Cosimo III. Ebbi la fortuna di conoscerlo.
Mi propose di entrare al suo servizio a Firenze, come cembalaro di corte.
Ho lasciato pochi scritti di questo mio trasferimento. Ma posso ricordare, documentato dal Puliti, uno storico mio contemporaneo, lo scambio di lettere tra me, a nome del principe Ferdinando e il conte Roberto Papafava, in merito all’ingaggio della cantante Laura Spada.

A Firenze mi ricordo che frequentavo una delle numerose officine medicee, nei pressi degli Uffizi. Nei paraggi degli Uffizi rimasi fino alla fine della mia vita, prima in canto degli Alberti nel popolo di San Remigio e poi nel popolo di San Jacopo tra Fossi.

Uno dei miei rari ritratti è stato fatto nel periodo fiorentino. Non so che fine abbia fatto, ma voi avrete letto che è stato scoperto nel 1934 da un certo Schunemann e poi acquistato dal Museo di strumenti musicali di Berlino. Pare sia stato distrutto durante la guerra e nella vostra epoca esistono solo poche riproduzioni. Appartiene alla scuola fiorentina datato 1726, di autore ignoto, in cui sono stato ritratto in piedi vicino ad uno strumento a tastiera. Tengo in mano, nello sfondo del quadro, un foglio in cui si nota lo schema della meccanica a martello e si legge la mia scritta “Bartholomaeus Cristof” mentre sullo sfondo, attraverso una finestra, si intravvede la città di Firenze.

Dal 1690 entrai dunque al servizio dei de’ Medici, come cembalaro di corte. E’ tuttora documentata la mia attività di progettista e costruttore di strumenti che furono venduti in località Pitti e Pratolino.

Troverete ricevute anche di altri strumenti da me costruiti, quali una spinetta, poi un cembalo di cipresso, un organo e pure un contrabbasso che potete vedere, ancora oggi, nel museo Cherubini di Firenze, quale testimonianza della mia attività anche di liutaio. In realtà mi rendevo conto della mia propensione mentale a progettare diversi strumenti senza avere particolari problemi. Questa mia caratteristica fu notata dal mio mecenate, il principe Ferdinando, il quale mi incoraggiava fortemente a studiare la possibilità di creare un nuovo strumento apportando alcune sostanziali modifiche alla meccanica del clavicembalo trasformandolo da uno strumento a corde pizzicate ad uno strumento con corde percosse.

Cominciai questa avventura nel 1698 (due anni prima del Giubileo del 1700). Ci furono storici dell’epoca che testimoniarono la mia attività e che voi avrete sicuramente letto. Un certo Mannucci scrisse che nel mio inventario di strumenti, per la prima volta fu riportato l’esistenza di uno strumento da me progettato e definito : ”un Arpicimbalo che fa il piano e il forte” cioè il primo pianoforte.

Del primo prototipo c’è questa descrizione piuttosto particolareggiata nell’inventario mediceo, ma gli altri tre esemplari che riuscii a realizzare di “Gravecembalo col piano e forte ”furono oggetto di un famoso articolo pubblicato da Scipione Maffei nel 1711, nel Giornale dei letterati d’Italia.Maffei fece un bell’articolo perché non riportò solo la descrizione molto accurata del nuovo strumento ma ne evidenziò anche un disegno–schema della meccanica, dopo averla esaminata attentamente nel 1709 in occasione di un suo viaggio a Firenze, studiando il primo prototipo. Dei tre strumenti successivi, che oggi voi potete ancora vedere e creati da me nel 1720, nel 1722 e nel 1726 vi devo brevemente raccontare che grazie alla descrizione del Maffei, sono riuscito a spiegare quale fosse il meccanismo da me inventato e poi messo a regime nel tempo. Lo schema mostra il tasto e la leva intermedia, che porta su una estremità lo smorzo (che agisce al di sotto della corda) e sull’altro la linguetta mobile (spingitore) la cui pressione sul punto d’attacco del martello fa si che quest’ultimo percuota la corda. L’istantaneo ritorno in posizione di riposo da parte dello spingitore è assicurato da un sistema di molle di ottone, ciò che prova l’originalità (poi i miei studiosi parleranno di genialità) dell’invenzione nell’aver creato il così detto “scappamento”.
Devo ammettere che i peggiori difetti di questi primi esemplari, successivamente sistemati nei modelli posteriori, erano le corde passanti al di sotto del pancone, con conseguente difficoltà nell’applicarle e la mancanza di un accorgimento per frenare e regolare la ricaduta del martello. Al mio strumento fu riconosciuta anche una bellissima frase da parte del clavicembalista fiorentino Giovanni Maria Casini che riconobbe ”render su gli strumenti il parlar del cuore, ora con delicato tocco d’angelo, ora con violenta irruzione di passioni”.

Vi dico che lo strumento nato nel 1720 ora lo trovate al Metropolitan Museum di N.Y. (donato da Mrs. J. Crosby Brown).
Questo modello aveva risolto vari problemi. Infatti oltre ad aver capovolto il funzionamento degli smorzi, che agiscono dall’alto in basso rispetto alla corda, la vera innovazione era costituita dalle corde passanti al di sopra del pancone, per la presenza di un paramartello per frenare la ricaduta e di un para-linguetta per regolare la ricaduta dello spingitore.

Vorrei sottolineare anche, il fatto di aver dotato i nuovi strumenti di un congegno a mano, che sarebbe stato all’origine del pedale sinistro dei pianoforti moderni.
Questa dispositivo è presente nello strumento di Lipsia del 1726, sia in quello di Roma del 1722, grazie alla quale uno dei due blocchetti di legno ai lati della tastiera, dotati di un pirolo ciascuno e precisamente il sinistro, è estraibile; una volta estratto, facendo leva sul blocchetto di destra, la tastiera e tutta la martelliera scorrono di circa mezzo centimetro verso sinistra permettendo così ai martelli di percuotere una sola delle due corde unisone di cui è dotato lo strumento per ogni nota, in modo tale da ottenere una sonorità smorzata: il cosidetto effetto ”una corda” assai spesso indicato nella letteratura pianistica fin dai primi dell’800.

Lo spazio non mi permette di raccontarvi ulteriori particolari interessanti che hanno reso gli strumenti dei veri pezzi da museo. Qualche problema mi arrivò con la morte del mio grande mecenate, Ferdinando, deceduto nel 1711. Rimasi alla corte medicea come Strumentaio.

In realtà non mi ritirai dalla attività che mi era stata supportata dal mio principe, ma continuai a lavorare intensamente.
Riuscii a lasciare in eredità, tutti catalogati, dal 1700 al 1732 ben 173 strumenti diversi.

Concludo dicendovi che il pianoforte costruito nel 1722 appartenne al famosissimo Benedetto Marcello, poi al fratello Alessandro, che lo lasciò in eredità alla contessa Lucia Cittadella Rapti, per poi pervenire ai conti padovani Giusti del Giardino. Ora lo trovate conservato nel Museo degli strumenti musicali di Roma. L’esemplare costruito nel 1726, faceva parte della collezione fiorentina del barone Kraus e di suo figlio Alessandro, fu esposto assieme a quello del 1720 nell’EXPO di Parigi del 1878, ed è ora conservato a Lipsia.I tre strumenti li ho firmati con ”Bartholomaeus de’ Christophoris Patavinus inventor faciebat Florentiae…” cui segue la data a numeri romani. Il 27 gennaio 1732 arrivò la morte che mi colse ancora attivo. Mi trovate nel registro dei deceduti della chiesa di S.Iacopo tra’ Fossi (abbattuta nel 1847).In realtà si legge la data 1731 perché si sono riferiti al calendario di stile fiorentino, in uso fino al 1750 circa.

Spunti dalle Note di
Annalisa Bini
Dizionario Biografico degli Italiani Volume 31 (1985).